Incontro-intervista con Giuliana Sgrena, prima parte
Palermo- In occasione della presentazione del suo nuovo libro sulle imposizioni patriarcali che si celano dietro l'uso del velo nel mondo islamico, Giuliana Sgrena di fronte una platea di ragazze e ragazzi impegnati nel servizio civile nazionale, non si sottrae alle curiosità e alle domande poste sulle sue passate esperienze in giro per il mondo. Si tratta di esperienze diverse e molto dure, sempre alla ricerca di un'informazione a 360°. La giornalista del Manifesto racconta di come alcuni paesi stiano conoscendo una sorta di integralismo di ritorno e la prima domanda riguarda proprio la vicina Turchia:
Riguardo l'integralismo di ritorno, secondo lei cosa diventerà la nuova Turchia dopo la fine dei divieti laici di Ataturk?
La Turchia al momento sta vivendo un'islamizzazione soft, in genere i governi integralisti programmano bene le mosse da fare. Si comincia sempre dall'introduzione dell'uso del velo per le donne. La possibilità di poterlo portare nelle università è solo il primo passo. Successivamente si passa all'educazione fisica, perché il velo non permette alle ragazze di controllare bene i movimenti e le si esclude. Si formano classi femminili separate da quelle maschili come sta accadendo nel cuore dell'Europa, in Bosnia. Le piscine degli alberghi sono riservate agli uomini, come succede già in Iran dove le ragazze cercano di portare veli con colori sfavillanti per cercare una tenue forma d'identità. Il portare il velo comporta anche una serie di norme di buon comportamento in cui la donna deve muoversi silenziosa e non deve guardare in un certo modo gli uomini perché potrebbe sedurre uomini sposati. Neanche i tacchi sono ammessi per il loro rumore. In Turchia i principi laici di Ataturk sono sempre stati mantenuti dall'esercito, ma per ora è impegnato nella lotta contro i curdi del PKK, anche se in Kurdistan risiedono gran parte delle risorse petrolifere del vicino Iraq e la questione a riguardo non è semplice. Per introdurre un regime islamico si comincia sempre dalle scuole e dall'università, poi dagli ospedali dove i medici maschi non possono visitare le donne e infine i giudici nei tribunali che vengono progressivamente sostituiti da magistrati filo-islamici.
Probabilmente nessuno di noi vedrà mai l'Iraq. Lei che ci è stata, saprebbe descrivere cos'era e cosa è diventato dopo il 2003 l'Iraq?
Prima dell'ultima guerra scatenata con un pretesto inesistente l'Iraq era stretta da un duro embargo. Si potevano esportare quantità limitate di petrolio in cambio di cibo e medicine comuni. Baghdad era stata ricostruita anche se non era la stessa città di quella vista prima del 1990. La popolazione viveva bene, il regime era duro ma la sanità e l'istruzione erano gratuite. L'embargo ha abbassato le condizioni di vita. Al momento circa l'80% degli irakeni è disoccupato perchè sono state distrutte tutte le industrie ed eliminati i componenti dell'amministrazione del partito Baat fino al 3° livello dirigenziale. La benzina durante il regime di Saddam costava l'equivalente delle nostre 20 vecchie lire, oggi si aggira intorno alle 500 con un unico distributore disponibile per un intera città, a fronte di un parco macchine cresciuto dalla fine della guerra dopo che Saddam prevedeva un limite alle immatricolazioni annue. Gli impianti di estrazione sono obsoleti, i macchinari per le riparazioni non potevano essere acquistati all'estero ma i tecnici erano in grado di farli funzionare ugualmente. Dall'inizio della guerra gli americani non riescono a fare il lavoro dei tecnici irakeni e l'erogazione dell'elettricità è limitata a circa tre ore al giorno. Gli investimenti da parte degli americani non sono mai partiti perché le condizioni di sicurezza non l'hanno permesso. Si parla di dividere l'Iraq in tre stati federali in base alle tre etnie presenti, ovvero quella curda, la sciita e la sunnita. I problemi nascono nella spartizione delle aree petrolifere, con circa la metà del petrolio estratto appartenente alla zona sciita di Bassora e circa il 40% a Kirkuk, al centro del Kurdistan che sta subendo una sorta di invasione da parte dei curdi dopo l'islamizzazione forzata voluta da Saddam.
In base alla sua esperienza chi sono per lei i terroristi islamici?
Il terrorismo islamico è quello di Al Qaeda ma loro in realtà non sono interessati all'Iraq. La guerriglia organizzata per la liberazione dagli stranieri è un'altra cosa, distinta. Purtroppo questi gruppi sono molto compositi e senza un braccio politico in grado di poterli rappresentare si lasciano andare a metodi a volte discutibili. I gruppi tribali ora stanno combattendo le infiltrazioni di Al Qaeda e stanno appoggiando gli americani, spingendo i terroristi da Baghdad a Mossul, verso nord. Purtroppo l'ombra lunga di Saddam è ancora presente in Iraq, gli ex amici fuggiti via lo rimpiangono e i suoi nemici non nascondono di vivere in condizioni peggiori di quanto non fosse prima con il regime.
Qual è il ruolo dell'informazione nei confronti della questione irakena? Perché secondo lei nessuno ne parla più?
Il motivo per cui non sono più tornata in Iraq ha a che fare con l'impossibilità di fare informazione. Essere embedded assieme alle truppe militari o chiusi in un albergo ad aspettare le notizie portate da quegli iracheni che si mandano in giro per la città significa avere solo un punto di vista. Il mio rapimento è dovuto anche al fatto che io dopo aver ricevuto delle notizie dai miei collaboratori a Baghdad volevo andare a verificare di persona prima di pubblicare qualcosa. Dall'inizio della guerra sono morti circa 300 giornalisti in Iraq, nel Vietnam in 20 anni ne sono stati uccisi circa 40. Questo significa che in Iraq nessuno dei contendenti vuole testimoni. Le televisioni e i giornali locali danno notizie pluri-filtrate, in realtà le notizie vere si sanno grazie al tam-tam tra i cittadini.
(fine prima parte)
Francesco Quartararo
1 commento:
interessante questa prima parte.
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