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giovedì 8 febbraio 2007



Ritorno a Kandahar





La lettera mandata da ben sei ambasciatori al ministro degli Esteri D’Alema è stata definita inusuale, per la forma con cui chiede al nostro paese di intervenire sul campo in Afghanistan. La guerra si protrae da sei anni, il comando è a guida statunitense ma porta con sé 36 nazioni. Il ruolo dell’Italia era stato ulteriormente precisato al summit della NATO a Riga: le nostre truppe hanno compiti di peace-keeping, non hanno le capacità di essere condotte in azioni offensive ed è più utile alla coalizione tenere i soldati italiani a Kandahar. Ma da dove nasce questo nervosismo internazionale? Inutile negare pressioni americane in tutto questo, ma una così forte richiesta, proveniente da paesi come il Canada, si basa sulle perdite militari sul campo. È questa la novità che ha portato ad un certo nervosismo diplomatico. Le truppe talebane hanno ripreso vigore, sono state rifornite ed attrezzate per i combattimenti anche in questo periodo dell’anno e dopo aver riconquistato una città del sud del paese si preparano a lanciare una controffensiva in primavera. A nulla sono valsi gli sforzi delle truppe inviate, secondo fonti militari servirebbero altri quattromila uomini. Uomini, armi e forze che gli Stati Uniti hanno spostato in Iraq. Il disimpegno militare in Iraq di Italia, Spagna, Francia e Germania e i successivi problemi per il caso Calipari e l’ampliamento della base di Vicenza sono stati avvertiti come campanello d’allarme. L’Italia, pur mantenendo il suo impegno in Afghanistan, intende sfruttare gli accordi con la NATO senza lasciarsi trascinare in un pantano peggiore di quello irakeno. Anzi ha rilanciato sul piatto tre proposte: organizzare una conferenza di pace sull’Afghanistan, consultare le parti impegnate nel successivo processo di normalizzazione del paese ed infine coinvolgere attivamente Russia, Iran e Pakistan nel processo di pacificazione afgano. Dei tre paesi da interpellare, gli Stati Uniti non intendono avvisare l’Iran, obiettivo nemmeno tanto velato di un’ulteriore escalation militare – basti pensare che a dividere l’Iraq dall’Afganistan vi è solo il regime di Teheran – mentre il Pakistan rimane nell’ambiguità. L’appoggio incondizionato all’occidente costa tanto al leader Musharraf, alle prese con rivolte interne. L’ulteriore ripresa dei talebani dimostra quanto il movimento saldato ad Al Qaeda sia più che mai attivo, rinforzato dagli squilibri in Iraq, Libano, Somalia ed in Palestina. I rifornimenti e la certezza di un contrattacco può essere dettata solo dalla presenza di un sistema di rifornimento che passa da almeno uno dei paesi vicini. Bloccare, attraverso la diplomazia questi canali, potrebbe essere l’arma in più in questa guerra che non accenna a finire, anzi torna alla ribalta.







Francesco Quartararo

sabato 3 febbraio 2007

Follia calcistica




Il derby siciliano finisce senza vincitori





Catania- La giornata inizia alle 18 ore locali, la città di Catania ospita il derby più importante in Sicilia valevole per due posti nell’Europa calcistica che conta. Partita in una giornata insolita, spostata per motivi di sicurezza ma anche per l’imminente festa della patrona della città, Sant’Agata. La sua effige copre tutta la curva degli ultras rossoblu, le squadre si riuniscono al centro per un minuto di silenzio, per ricordare un dirigente ucciso da tifosi scalmanati a Cosenza. Stridono i fuochi d’artificio con i volti scuri dei giocatori, nel silenzio rimbombano le urla per la partita imminente e la festa cittadina già pronta. La partita procede spettacolare, inizio in sordina per il Palermo, il Catania punzecchia ma non abbastanza. Nella seconda parte del primo tempo il Palermo si porta avanti ma non riesce a sfondare. L’occhio si sposta sugli spalti: Stadio pieno dei colori catanesi, mentre dal settore ospiti si contano una decina di supporters. Com’è possibile, dove sono gli odiati ospiti? Già, perché nel calcio le regole d’ospitalità, derivanti dalla cultura greca che ha impregnato la Sicilia, sono ormai fuori luogo. I tifosi del Palermo sono in ritardo, si trovano in periferia ed impiegano un’ora ad arrivare allo stadio. Appena entrati il Palermo si porta in vantaggio con Caracciolo, un gol segnato da un fuorigioco di rientro. I guardalinee non ne azzeccano una, nel proseguo della gara fischieranno fuorigiochi inesistenti a ripetizione, salvo farsi vivi nel momento decisivo della partita. Dalla curva sud, quindi alle spalle del settore ospiti, si leva una nuvola gigantesca di lacrimogeni, in grado di annebbiare un intero stadio, far scappare giocatori, dirigenti e terna arbitrale. Sugli spalti il panico si propaga, non si sa con precisione cosa sia successo, ma tutti indicano i palermitani come responsabili. Anche il presidente del Catania la pensa così, salvo poi fare dietrofront quando la realtà delle cose si è manifestata nella sua follia. I giocatori del Catania sono impazienti di riprendere a giocare, sono sotto di un gol e la partita rischia di essere vinta a tavolino dal Palermo. Dopo 35 minuti riprende la partita, sugli sviluppi di un calcio d’angolo il Catania pareggia con una potentissima botta da fuori di Caserta. Scoppia il deliro: il Catania pareggia, giocatori e tifosi con gli occhi rossi per i lacrimogeni e la rabbia di una partita guastata dai soliti palermitani. Il sangue dei palermitani bolle di rabbia, hanno pagato la trasferta per vederne metà, sono entrati allo stadio a rischio della vita, la loro squadra è stata raggiunta e sono ingiustamente accusati di qualcosa non imputabile a loro. A casa le notizie arrivano più in ritardo, ma la sensazione è la stessa, i tifosi chiedono la vittoria, si deve far pagare agli avversari tutto questo. È l’unico sentimento trasversale che unisce le due città. La partita prosegue, il Catania gioca sulle ali dell’entusiasmo ma il Palermo, pur sbandando paurosamente in difesa, resiste. Il Catania lascia grossi spazi aperti dietro, il contropiede del Palermo si fa sempre più incisivo e le due punte del Palermo sembrano destarsi da uno stato di semi-torpore. I tiri si avvicinano sempre più alla rete del Catania ed il gol arriva verso la fine della partita, in un modo rocambolesco. Un cross dalla destra spiove in area, Di Michele salta a vuoto ed in caduta si porta avanti il pallone con il gomito. La palla entra in rete, lo stadio si ammutolisce, il derby calcistico finisce qui. Si cerca di capire da dove provengano i fumogeni, l’occhio delle telecamere si sposta fuori dallo stadio. La piazzetta antistante è un campo da guerra e come tale sarà descritto. Al centro della piazza le ambulanze sono attorniate dai tifosi del Catania, la piazza è stata presa dai guerriglieri urbani. Per allontanare la folla entrano nella piazza due camionette della polizia a velocità sostenuta, con la minaccia di investire chiunque non si allontani. Da una via d’accesso si riorganizzano le forze dell’ordine, non si avventurano in una carica, il rapporto numerico li metterebbe in difficoltà. Hanno già retto ad un fitto lancio di pietra lavica e bottigliette con acido per far entrare i tifosi del Palermo. Le pietre pare siano state prese dal muro di cinta del settore nord, letteralmente sgretolato in vista dell’arrivo degli ospiti. I guerriglieri urbani si riorganizzano, si dispongono a quadrato e si rifugiano nei pressi dell’ambulanza. Le camionette spostano con forza i tifosi dalle ambulanze, pronte a scappare via. Da altre vie d’accesso arrivano i rinforzi dei guerriglieri, posano il motorino, alzano la sciarpa nera mentre le scritte dorate risaltano come orridi lustrini sulle loro felpe. Un gruppo più organizzato raccatta spranghe, pietre ed estintori per lanciarle sulle camionette. Dai palazzi sovrastanti la piazza, in direzione dei poliziotti pare sia stato lanciato di tutto, perfino lampadari. Nella diretta televisiva a pagamento si assiste al lancio di una bomba carta dentro il finestrino della camionetta, probabilmente indebolito da attacchi precedenti a colpi di pietra ed estintori. La bomba carta arriva in faccia all’ispettore capo Filippo Raciti, la corsa verso l’ospedale Garibaldi e la susseguente rianimazione sono inutili. La rabbia, il dolore, la tristezza e l’incredulità si mischiano, tra qualche ora i guerriglieri porteranno in processione sant’Agata assieme agli stessi uomini armati di manganello che cercavano di allontanarli. Ma tutto questo appartiene già ad una delle realtà possibili, la festa cittadina non ha più senso, nessuno ha voglia di festeggiare più niente. La festa di sant’Agata sarà solo una festa religiosa, mentre la città che ne ha portato le effigi allo stadio rifletterà a lungo sulla battaglia intestina assurda portata avanti non per una motivazione, ma per un pretesto: una partita di calcio.







Francesco Quartararo

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