Incontro-Intervista con Giuliana Sgrena, seconda parte
Palermo- In occasione dell'uscita nelle librerie dell'ultimo libro della Sgrena, "Il prezzo del velo", edito da Feltrinelli, la giornalista del Manifesto si è occupata di raccogliere le storie raccontate dalle donne incontrate durante i suoi reportage all'estero. Un viaggio trasversale, dall'Europa all'Iran tra le donne musulmane e non solo.
Quali sono i metodi di lotta delle donne islamiche?
Nei paesi dove sono tollerate forme più aperte e partecipate di democrazia le donne ricorrono ai referendum un pò come accade in italia quando si cerca di far approvare o abrogare una legge, in genere nei paesi dell'Africa settentrionale ed in particolare in Egitto dove vi è una tradizione di lotta femminista molto forte. Negli altri paesi le cose si complicano. Pensate che il 21 marzo in Iran è stata istituzionalizzata la giornata nazionale del velo per le donne. In Arabia Saudita si agisce in clandestinità e molte azioni sono coordinate e rese possibili grazie ad Internet (vd. blogger Saudita), come ad esempio la guida di automobili in città, normalmente vietato alle donne. A volte si pensa che alcune donne lottino come kamikaze ma non è sempre così. In Cecenia gli unici kamikaze che vengono usati sono donne, incinte o meno, molto istruite che vengono anche sedotte dai capi ribelli e vengono fatte saltare in aria con un comando a distanza. La mamma di una ragazza kamikaze in Palestina, intervistata qualche anno fà, mi parlò della figlia come una ragazza innamorata della vita. Sapeva che frequentava integralisti ma se avesse sospettato che l'avrebbero spinta a farsi saltare in aria non l'avrebbe più fatta uscire di casa. Anche in questi casi la donna viene usata e coercizzata. Nel mondo islamico come in occidente le donne hanno un grado d'istruzione molto più alto degli uomini ma le loro capacità non vengono bloccate dalla società, ma imposte per legge dagli stati teocratici.
Cosa le hanno detto le donne che ha incontrato riguardo la pratica dell'infibulazione?
Premetto intanto che questa pratica non è esclusiva dei paesi islamici ma è praticata generalmente in Africa e Asia. Si tratta della chiusura dei genitali femminili per garantire all'uomo la verginità della donna fino al matrimonio, una cosa che al solo pensiero mi fa paura. L'esperienza più difficile per me nella mia carriera giornalistica l'ho dovuta affrontare in Somalia, quando riuscì ad intervistare una di quelle donne che praticano l'infibulazione. Solitamente si tratta di donne anziane, un pò come le cosidette "mammane" che in Italia si occupavano degli aborti clandestini prima della legge 194. Questa ragazza che voleva raccontare la sua esperienza poteva avere non più di vent'anni, bellissima, ma aveva una tristezza estrema. Gli occhi erano come spenti, privi di luce e raccontava come operava le giovani somale con un distacco per me agghiacciante. Usava come ago delle spine di acacia, una pianta molto dura che cresce nella zona e cotone per la cucitura. Tra i motivi che l'hanno spinta a fare questa pratica vi era la rassegnazione che prima o poi anche la figlia avrebbe dovuto essere infibulata e quindi preferiva saperla fare lei in persona. Ma la cosa che mi riuscì ancora più difficile fu dover scrivere nell'intervista che la prima persona su cui provò l'infibulazione era la propria figlia. Da donna ancora oggi penso alla pena che poteva provare quella madre non solo a dover subire questa pratica disumana, ma a doverla praticare lei stessa su sua figlia.
Perché alcune donne in Italia portano ancora il velo se non il burqa?
In genere le comunità arabe sono molto chiuse in sé stesse, è difficile che si mescolino appieno con il resto della società perché si ha difficolta ad integrarsi. Molto spesso mantengono le tradizioni dei loro paesi come forma di rispetto nei confronti dei mariti. In Italia non si offre molta attenzione alle situazioni che queste donne vivono. Lo Stato non offre molte garanzie alle donne. Pensate che qualche tempo fa ho avuto modo di conoscere una donna egiziana, sposata con un arabo che gli ha permesso di ottenere la cittadinanza italiana, che a un certo punto si è vista arrivare in casa la famiglia della prima moglie del marito dall'Egitto. La poligamia in Italia è vietata e si è ritrovata a condividere la casa con la prima moglie del marito, il loro figlio grande e il piccolo nato da questo secondo matrimonio. I problemi veri sono sorti quando il figlio dela prima moglie ha violentato il piccolo. La madre del piccolo ha provato a scappare e a rivolgersi al tribunale ma nel frattempo il marito la teneva anche incatenata a casa. Il tribunale tardava a emettere una sentenza e doveva convinvere in casa con il marito violento e con il terrore che il fratellastro violentasse ancora il piccolo. Qualche tempo fà l'ho incontrata, scappata dal marito, si è fatta una nuova vita ma sta sempre con il terrore che il marito la trovi e la uccida per il disonore che le ha procurato.
Perché le donne islamiche portano il velo?
Mi è capitato di ricevere qualche tempo fa una mail di protesta di un gruppo di femministe che in difesa dei diritti delle donne islamiche volevano contestare la decisione di un sindaco leghista di vietare l'uso del burqa nel suo comune. Personalmente penso che se una donna fosse veramente libera di decidere difficilmente sceglierebbe di portare il burqa o un velo che lascia scoperti solo gli occhi, rinunciando a mostrarsi. Molto spesso chi porta il velo lo fa per necessità, in quanto gli stati teocratici aiutano economicamente quelle donne che portano il velo, seguono i precetti delle scuole coraniche e seguono alla lettera le norme di comportamento delle donne imposte dalla sharìa. Per non andare troppo lontano in Bosnia tutt'ora le moschee suppliscono alle mancanze dello Stato dopo la guerra nei Balcani. Stessa cosa in Somalia dove tra l'altro si opera un vero e proprio colonialismo arabo: si studia solo la lingua e la storia dell'Arabia Saudita, la conoscenza della storia e della cultura araba sono spazzate via, un pò come gli indios forzatamente cristianizzati ai tempi di Colombo.
Adesso la domanda più scottante: cosa può dirci del caso Calipari?
Come è noto c'è stato un procedimento legale ed è ancora in corso contro Mario Losano che materialmente ha sparato contro la nostra macchina. Ovvio che la responsabilità non sia completamente sua ma da qualche parte si doveva pur cominciare. La nostra macchina è stata trivellata da ben 57 colpi, di cui solo uno indirizzato al motore, i restanti 56 all'altezza dei finestrini. Le comunicazioni via radio della zona erano controllate, figuriamoci le nostre che usavamo un telefono satellitare. Ci siamo trovati davanti un falso checkpoint, non segnalato, con un elicottero statunitense che ci seguiva dall'alto costantemente e la camionetta da cui è sceso il soldato piazzata di nascosto dietro una curva. Non so perché è successo tutto questo, sono convinta che non si trattasse di una fatalità perché alcune prove sono sparite dalle carte processuali e le intercettazioni ambientali della zona sono state distrutte.
Cosa ne pensa della politica internazionale intrapresa dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo?
Non condivido la scelta militare americana. Basti pensare che i terroristi talebani sono ancora lì e nel momento in cui si voleva procedere alla cattura dei trafficanti di droga e armi che si arrichiscono grazie alle enormi piantagioni di oppio nel sud della regione, il Ministero degli Interni afghano ha bloccato la lista perché tra i tanti nomi vi era anche quello del fratello del presidente dell'Afghanistan, Karzai.
(fine. Intervista realizzata dai volontari del Servizio Civile Nazionale del progetto "Il Marketing in Biblioteca")
F.Q.
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