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giovedì 8 aprile 2010

Le grandi interviste esclusive - L'abbraccio dello Steri a Baarìa

Giuseppe TornatoreImage via Wikipedia

Giuseppe Tornatore e Pietro Calabrese presentano il libro sul film che il regista siciliano ha inseguito per tutta la vita, tra aneddoti, retroscena e una rilettura del film italiano candidato all'oscar

L'occasione è la presentazione ufficiale del libro scritto a quattro mani con Pietro Calabrese, il luogo adatto sarebbe stato un cinema da più di mille posti. L'arrivo di Giuseppe Tornatore alla Sala Magna di Palazzo Steri, il salotto buono dell'Università di Palermo, ha attirato studenti e curiosi da tutte le parti, compresi anziani signori provenienti dalla vicina Bagheria ed una ragazza che dalla Tunisia ha sempre visto e studiato i film del regista siciliano. Prima di gettarsi nel bagno di folla Tornatore si lascia intervistare in una saletta vicina, dove dichiara che dopo Baarìa la sua voglia di fare film è rimasta intatta, anzi, preannuncia che il bello deve ancora venire.

Di che si parla in questo libro scritto a quattro mani con Pietro Calabrese?

"Baarìa, il film della mia vita", è più di un making of o di un semplice racconto di come le migliori maestranze del cinema italiano abbiano letteralmente ricostruito la Bagheria degli anni '50 in mezzo al deserto tunisino. Pietro Calabrese, siciliano come me, è riuscito in un'impresa unica.

In che senso? A questa domanda facciamo rispondere Calabrese

In uno studio romano sull'Aventino, luogo perfetto per qualsiasi tipo di ritiro, ho cercato di far venir fuori l'anima di Tornatore, a scoprire come l'idea stessa di realizzare un film su Bagheria lo abbia sempre accompagnato nella vita, portandolo a disseminare indizi sul suo progetto di vita in quasi tutti i suoi film precedenti. A detta dello stesso Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso può essere considerato il sequel perfetto di Baarìa, in cui la precisione per il dettaglio e la qualità fotografica di ogni singolo centimetro di pellicola derivano da una capacità che il regista siciliano ha acquisito per necessità.

Qualcosa legato a come ha iniziato la carriera di regista?

Esattamente. Agli esordi infatti, Giuseppe Tornatore girava i suoi documentari con una pellicola in grado di registrare appena tre minuti di immagini. Da questa limitatezza tecnica Tornatore ha imparato a condensare nella pellicola tutto ciò che in un'immagine è esplicito e quello che non lo è. La doppiezza e la profondità della cosidetta mezza-parola, che dice e non dice, che lascia alludere a più di un significato, è stata trasposta da Tornatore nelle sue opere, permettendo allo spettatore di cogliere da una scena la pienezza del suo significato.

Tornatore, può raccontarci cosa ha temuto di più all'uscita del film?

Nel libro si racconta come durante la fase di distribuzione del film lo scoglio più difficile da superare è stato sicuramente quello linguistico. La scelta di girare un film usando il dialetto di Bagheria (differente in alcune parti sia dal siciliano che dal palermitano) è stata osteggiata dalla Medusa film, che ha imposto un secondo doppiaggio. Questo non ha però arrestato il successo del film. Basta aprire Facebook alla ricerca dei gruppi di discussione su Baarìa per accorgersi che il film ricorda a tutti un pezzo d'Italia che non esiste più.
Un'impressione che a dire il vero, è rimasta a molti. Perché vedendo Baarìa si rivede un'Italia fatta si da gente ignorante, ma che riconosceva il valore sia della cultura che della politica, che nella quotidiana lotta per "tirare a campare" lavorava assieme ai vicini di casa e ai compaesani, un'Italia dove l'avversario politico era possibilmente un amico di lunga data a cui non si servava rancore, o in cui il nemico del partito avverso è lo stesso con cui si sono condivise nella stessa città miserie e successi. Racconta lo stesso Tornatore, che Baarìa è stata capace di far dire ad una signora di Trieste che quel film mostrava parti della propria infanzia, nonostante i luoghi in cui probabilmente ha vissuto siano totalmente differenti da quelli della Sicilia degli anni sessanta o settanta. Baarìa è per tutti una commedia nel senso più dantesco del termine. Si riesce a ridere e a piangere, tra immagini e scene di immenso impatto emotivo e sequenze un po' più splatter come quella dell'uccisione della vacca che ha suscitato un vespaio di polemiche tra gli animalisti. C'è chi ha visto nel film addirittura qualcosa di epico. Forse la Sicilia di quegli anni, vista con gli occhi di un bambino, poteva sembrare epica, con le prime lotte per la riforma agraria, i timidi tentativi di reagire contro la mafia delle campagne, prima che gli stessi mafiosi dismettessero i panni dei braccianti ed indossassero i colletti bianchi. In Baarìa c'è tutto della Sicilia, la sua bellezza naturale, la sua innata ironia (persino sul letto di morte uno dei protagonisti riesce a strappare al pubblico un sorriso), le sue contraddizioni stridenti e l'agrodolce delle ingiustizie quotidiane.
Nella scena finale, quando il bambino giocando con la strummula scopre che la mosca è ancora viva, lei voleva lanciare un messaggio al suo pubblico...
Sciascia diceva che la Sicilia è irrimedibile, ma secondo me lo diceva sperando di sbagliare. Nell'immagine della mosca che rinchiusa nel suo guscio ritorna a volare fuori volevo racchiudere l'immagine di una Sicilia che rompe il suo isolamento e torna a fare la storia, non solo ad esserne spettatrice.

Durante l'incontro in sala, durante gli interventi con gli altri ospiti invitati dall'Istituto Gramsci Siciliano, sia Giuseppe Tornatore che Pietro Calabrese hanno voluto lanciare un'ulteriore lettura sia del film che del libro, che alla fine condensa ed arricchisce l'intera esperienza di Baarìa. In Baarìa infatti prevale l'orgoglio di chi può farcela, partendo persino da una cittadina piccola ed anonima come quella nella provincia di Palermo. Si può lasciare la Sicilia o rimanerci, ma per poter avere successo basta seguire incessantemente il proprio sogno, senza sosta, con la testardaggine tipica di un siciliano. Un pieno di ottimismo che strappa gli applausi e qualche lacrima ai giovani e ai vecchi siciliani che hanno assistito a questo piccolo incontro tra le vecchie mura di un palazzo, diventato improvvisamente grande quanto tutta la Sicilia.


Francesco Quartararo
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