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venerdì 11 aprile 2008

Italiani alle urne per un voto (in)utile

La campagna elettorale 2008 può essere riassunta da uno dei suoi slogan più noti: voto utile. Partiamo dal principio. Il presidente del Senato Franco Marini è incaricato di creare se possibile un governo tecnico per cambiare la legge elettorale, il porcellum di Calderoli, che assegna il Senato in base regionale secondo criteri oscuri e diseguali. Le notizie economiche provenienti dagli USA parlavano di una crisi economica immininente in grado di portare in negativo gli indici di crescita dei paesi industrializzati, il tutto condito dal continuo aumento del prezzo dei beni primari (pane, pasta e da poco anche il riso, che ha quintuplicato il suo prezzo) e dalla necessità di chiudere la trattativa di Alitalia e nominare i dirigenti delle aziende pubbliche più grandi del paese. In una smania di revancismo i due candidati principali, Veltroni e Berlusconi, hanno trascinato il paese alle urne, annunciando la discesa in campo del PD e del neo-partito PDL, che formalmente prenderà vita in ottobre quando AN cesserà di esistere assieme a Forza Italia. Nel gioco di alleanze, a sinistra Veltroni ha accettato l'appoggio dell'IDV di Di Pietro e ha burrascosamente fatto entrare i Radicali nelle liste elettorali accanto ai cattolici tradizionalisti (meglio noti come teodem). Fuori dalla coalizione il Partito Socialista di Boselli e Bobo Craxi, fedele alleato del governo Prodi che pensano ad una vendetta personale di Veltroni per far sparire per sempre il Partito Socialista dalla storia della Repubblica Italiana. A destra Berlusconi si è ritrovato a fianco di Fini con cui a gennaio era giunto ai ferri corti, ha trovato in Casini un alleato troppo scomodo, da scaricare per le sue ambizioni da leader del centrodestra e per la posizione presa nei confronti di Cuffaro. Ha riscoperto la potenzialità della Lega Nord di galvanizzare l'elettorato settentrionale e ha imposto la lega del sud, l'MPA di Lombardo, a guida della Regione Sicilia, a discapito dei delfini di Forza Italia, Micciché e Prestigiacomo, a cui ha comunque promesso un ministero. All'inizio della campagna elettorale Berlusconi non escludeva un governo di larghe intese, da cercare però solo da una posizione di forza dopo le elezioni, possibilità ieri esclusa da Veltroni che nelle ultime due settimane pare stia sbattendo la porta in faccia all'avversario. Il caso Alitalia è scoppiato nel momento in cui Berlusconi ha parlato di una cordata di imprenditori italiani che si farebbero avanti solo dopo la sua elezione, nomi che non ha potuto fare per turbare i mercati ma che dovrebbero far capo al gruppo San Paolo, Benetton e qualche altro componente del cda di Mediobanca, di cui fanno parte Geronzi di Unicredit Group ed Ennio Doris di banca Mediolanum, che ha al suo interno come membro del cda uno dei figli di Berlusconi. I sindacati, di fronte alle richieste impossibili di Air France e la strumentalizzazione a fini elettorali della questione, hanno reagito in maniera molto violenta causando la rottura di una trattativa che per Alitalia è di fondamentale importanza. Qualche brivido è stato dato dal caso Pizza, che ha animato per un pò la campagna elettorale per via della riammisione del suo partito alle elezioni, ritiratosi per non causare lo slittamento delle elezioni oltre i termini previsti dalla Costituzione. Alla destra e alla sinistra dei principali schieramenti si trova una costellazione di mini partiti creati dalle esperienze dell'associazionismo a tutela dei consumatori e da ex parlamentari uniti sotto l'egida del "grillismo" contro i mega partiti. Scorrendo la scheda elettorale si trovano sigle storiche come il Partito Liberale Italiano, due partiti comunisti massimalisti e due partiti di estrema destra, uno vicino agli ambienti più glamour di Roma guidato da Francesco Storace e Daniela Santanché e l'altro vicino agli ultras degli stadi e agli ambienti neofascisti, raggruppato sotto l'egida di Forza Nuova. Si vota nel pericolo di un voto nullo a causa del layout delle schede elettorali, con i simboli tutti vicini tra di loro. L'unico argomento di cui si è parlato poco è quello relativo all'inutilità di questa tornata elettorale: i numeri al Senato potrebbero venir meno, il sistema di distribuzione del voto è tale per cui uno dei due mega-partiti (PD-PDL) in caso di sconfitta in una regione vede perdere senatori a favore della terza forza in campo (che può essere l'UDC, la Sinistra Arcobaleno e nel Lazio La Destra); le riforme strutturali di cui lo Stato ha bisogno verrebbero ostacolate dai dissidi e dai dissapori sparsi in questi mesi tra il PDL e l'UDC e tra il PD e la Sinistra Arcobaleno; la stabilità del governo sarà messa a durissima prova dalla crisi economica che farà sentire gli effetti più pesanti in giugno, in concomitanza con l'esaurimento della liquidità che tiene a galla Alitalia; i sindacati faranno sentire le loro pressioni sul prossimo governo in maniera sempre più intransingente per arginare le richieste dei lavoratori di una minore pressione fiscale ed un controllo maggiore sui prezzi dei beni primari, quali pane, pasta, riso, ortaggi e frutta che subiscono rincari fino al 275% nel passaggio dalla produzione alla tavola. Realisticamente il prossimo governo dovrà affrontare un calo pressocché immediato di consensi, oltre che l'ingrato compito di dover pianificare elezioni per la prossima primavera. L'unica soluzione ad una situazione così scompaginata sarebbe un governo di larghe intese e di unità nazionale, impossibile prima di febbraio e sempre più improbabile a due giorni dal voto.
Macchia 1986

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