Il futuro di Termini Imerese
Rimane davvero poco margine per un futuro Fiat a Termini Imerese. Nonostante il ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola abbia comunque convocato un tavolo tecnico per il 5 marzo per mettere assieme sindacati, dirigenza del lingotto e governo, i margini di manovra restano pochi. Il governo aveva chiesto di aumentare la produzione di auto in Italia dagli attuali 650 mila a 900 mila macchine, ma la strategia di Marchionne è chiaramente rivolta al grande mercato americano. Spazio quindi a nuovi competitor, che troveranno a Termini Imerese una struttura industriale quantomeno avviata e con personale già qualificato. Poco favorevoli a lavorare per conto dell'Ikea, gli operai di Termini vedrebbero di buon occhio l'arrivo di una casa di produzione cinese, mentre continuano a farsi insistenti le voci riguardanti l'interesse dell'imprenditore siciliano Simone Cimino che guiderebbe una cordata di imprenditori italiani pronti a far partire la produzione di macchine elettriche. I veri motivi della chiusura di Termini però vengono fuori da un'inchiesta del Sole 24 Ore, che ha analizzato la situazione di Termini da un punto di vista strettamente economico: la mancanza di un indotto ben sviluppato, la necessità di importare lamierati, componentistica elettrica e persino i motori nel quadro di un sistema di trasporti malfunzionante rendono anti-redditizia la produzione Fiat a Termini. Ecco spiegati da dove vengono quei mille euro in più che ogni macchina prodotta a Termini viene a costare rispetto alle altre. Un altro dei progetti sul tavolo, concepito grazie ad uno studio approfondito di Unioncamere Sicilia ed il Censis, potrebbe presto guidare la riconversione dello stabilimento in centro sviluppo per tecnologie industriali, utile alla Sicilia ma anche all'innovazione delle altre fabbriche italiane.
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