Ritorno a Kandahar
La lettera mandata da ben sei ambasciatori al ministro degli Esteri D’Alema è stata definita inusuale, per la forma con cui chiede al nostro paese di intervenire sul campo in Afghanistan. La guerra si protrae da sei anni, il comando è a guida statunitense ma porta con sé 36 nazioni. Il ruolo dell’Italia era stato ulteriormente precisato al summit della NATO a Riga: le nostre truppe hanno compiti di peace-keeping, non hanno le capacità di essere condotte in azioni offensive ed è più utile alla coalizione tenere i soldati italiani a Kandahar. Ma da dove nasce questo nervosismo internazionale? Inutile negare pressioni americane in tutto questo, ma una così forte richiesta, proveniente da paesi come il Canada, si basa sulle perdite militari sul campo. È questa la novità che ha portato ad un certo nervosismo diplomatico. Le truppe talebane hanno ripreso vigore, sono state rifornite ed attrezzate per i combattimenti anche in questo periodo dell’anno e dopo aver riconquistato una città del sud del paese si preparano a lanciare una controffensiva in primavera. A nulla sono valsi gli sforzi delle truppe inviate, secondo fonti militari servirebbero altri quattromila uomini. Uomini, armi e forze che gli Stati Uniti hanno spostato in Iraq. Il disimpegno militare in Iraq di Italia, Spagna, Francia e Germania e i successivi problemi per il caso Calipari e l’ampliamento della base di Vicenza sono stati avvertiti come campanello d’allarme. L’Italia, pur mantenendo il suo impegno in Afghanistan, intende sfruttare gli accordi con
Francesco Quartararo
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